lunedì 8 ottobre 2012

L'uomo che era allergico alla terra


C'era una volta un uomo
che era allergico
alla terra.
No,
non alla terra
tipo argilla
tipo humus
tipo quella di Cattù
tipo quella di Siena bruciata
tipo quella battuta
tipo quella che si mettono le donne in faccia
tipo il ripieno dei vasi da fiore
tipo terreno.
No, no, no.
Alla terra Terra.
Si,
tipo il pianeta.
Già, già-ggiaraggià.
Non l'ho scritta subito
con la “t” maiuscola
per confonderti,
babbo d'un lettore,
e creare quel tanto
di suspance,
di dubbio,
e allungare un po'
la poesia
che sennò mi sa
che viene corta.
È anche per quello
che vado spesso
a capo.

In ogni caso
questa è la storia
di un uomo
che era allergico
alla Terra.
Appena nato
non ha aspettato
gnanche lo schiaffo
del dottore
e subito s'è messo
giù a lacrimare,
starnutire,
prudere.
Ecciù
Ecciù
Ecciù
muchi di qua
batteri di là
spargeva a mestolate
dalle narici,
colavan candele
simili a tentacoli
verdi, marron e grigi
dai suoi pertugi
giù fino ai malleoli:
la gente già
non lo sopportava più.
Occhi rossi
e prudorosi,
nasi arrossi
sgocciolosi,
gole grattarelle
e macchie viole
sulla pelle.
Viveva sospeso
s'un filo di saliva,
vedeva il mondo
da dietro i cleanex
in quell'intervallo
d'un secondo
che passa in fretta
tra due squilli
di trombetta.

Fattosi adulto
comprò un attico
là in centro
in cima al più alto
grattacielo
della città:
l'idea non era male
ma persino
sulla sua torre
d'avorio e antistamine
continuava imperterrito
a starnutire:
il vento portava
senza difficoltà
pezzi di Terra
in gran volontà,
dapprima solo
sul suo terrazzo
e poi fin dentro
al suo palazzo.

Allora decise,
non senza notarne
l'assurda ironia,
d'affidarsi alla NASA,
e le chiese
se per caso,
e per piacere,
potesse trovargli
una nuova casa
nel cosmo immenso
dove il suo naso
potess'esser contento.
La NASA,
ch'è alla mano,
rispose:
“Dai, perchè no?”
e lo piazzò s'un razzo
diretto nel mezzo
della Luna bitozoluta,
una nave di quelle eterodosse
azionata da un motore
a scoppio di tosse
e da un propulsore
a starnuti.
Arrivò in due minuti
e la visitò in tre ore:
"sul satellite
non c'è movida"
disse,
"e la cucina
non è granchè,
ma l'aria non è umida
e c'è un panorama...
quello sì,
altroché!"

(Mi accorgo ora
che la poesia sarebbe venuta
ugualmente piuttosto lunga,
perciò desidero scusarmi con te,
strenuo lettore:
e per l'inutile eccesso
di suspance iniziale,
e per quella cosa
che ti ho dato del babbo,
spero non te la sia presa,
e perché vado
davvero
troppo
spesso
a capo).

L'uomo allergico
alla Terra
ormai ci s'è abituato
a viver romito
e infin dei conti
gli sta bene così:
ma ogni tanto
scrive una lettera
un po' malinconica,
ci fa uno shuttle
di carta,
e la lancia
al mondo.
A volte lo becca
talaltra lo cicca.
Poi alza le spalle
e si slaccia
dalla vita
una strana
bisaccia,
ci infila due dita,
le porta
alle froge,
e respira a fondo:
lì dentro s'è infilato
un pezzo di mondo
così
per ricordo.
E dopo avere sniffato
a pieni polmoni,
una goccia
gli rotola
meccanica
giù dall'occhio;
lui l'asciuga
con la manica
e tirando su
col naso
sorride sbilenco
e si domanda
se la sua
sia più nostalgia
alla Luigi Tenco,
o sia ancora una volta
soltanto allergia.



Nessun commento:

Posta un commento

dilla