domenica 30 dicembre 2012

Il carrozzone


Mi viene in mente un'antica metafora stoica. Parla della libertà umana. O meglio...
C'è un carro, dice, che cammina dritto, imperterrito, senza soste. Attaccata al retro del carro, una corda. Attaccato all'altro capo della corda, un cane al collare.
Il cane, dice, se non vuole finire trascinato, scorticato, strozzato, deve procedere almeno alla stessa velocità del carro. E, salvo minime deviazioni, nella stessa direzione. 
Chi sia il cocchiere, non dice.
Cani legati al giogo del destino, la nostra libertà sta nel vederlo, accettarlo, seguirlo. E, quando non ci si riesce più, nell'impiccarcisi.


La potenza delle metafore sta nel fatto che, a differenza dei concetti, non sono forme chiuse da definizioni piane. Neanche ci provano.
Sono, per dirlo con una metafora, due punti nello spazio semantico, incrociabili da infinite linee interpretative. Per questo una metafora tradisce sempre e con perseveranza, nel corso della sua storia d'utilizzo, il senso proposto da chi l'ha coniata. E per questo mi sento legittimato anch'io ad abbandonarmi al gioco erotico-semantico con questa sinuosa figura retorica che m'ha sedotto.
Cosa accadrebbe, mi chiedo per dare il La alla variazione, se la seconda "g" di "giogo" s'indurisse in una "c" di "gioco"? Facile: diventeremmo cani legati al gioco del destino.
E che razza di gioco sarebbe? E come diavolo si gioca?
Bene, innanzitutto ci va un campo. Un luogo e un tempo dove si possa giocare, delimitato in maniera più o meno netta da certe regole imprescindibili: diciamo che il terreno su cui si muove il carro - nella metafora stoica - , e l'universo conosciuto governato dalle leggi della fisica e della chimica - nella realtà dei fatti - , potrebbero ricoprire questo ruolo.
Poi ci va un obiettivo: per noi sarà la direzione vettoriale del carro, cioè il nostro destino biologico di esseri viventi, animali umani, fatto di nascita e morte e bisogni e pulsioni da soddisfare.
Legato all'obiettivo, il giocatore che lo insegue: il soggetto, quel cane.
Tra i due, a unirli e separarli, il giogo/gioco, cioè le possibilità aperte e i divieti imposti dalla cultura e dall'ambiente cui il soggetto è vincolato sin dalla nascita.
Cosa manca? Ah, sì, la mossa, la performance, la strategia. L'elasticità dei muscoli e del cervello, la loro capacità di plasmarsi in meravigliose e irripetibili figure viventi e senzienti che danzano tra i nodi della fune sfiorando il suolo, guadagnando centimetri di spazio libero.


Beh, il tabellone è pronto: muovere tocca a noi.

Er carrozzone


giovedì 27 dicembre 2012

Sono ateo, ma non praticante.

Dio,
perché mi hai abbandonato?
E non rispondere
con la solita menata
delle orme,
della sabbia,
che prima eran quattro
mo' son due
perché quando il gioco 
si fa duro
Gesù ti prende a tracolla;
smettila con 'ste stronzate
che manco Coelho
con la diarrea 
le spara tanto grasse.
Te lo dico io
il perché:
è che non esisti.
Ecco, 
te l'ho detto.
No, lasciami finire 
adesso,
che hai avuto tutta l'eternità
per parlare,
senza manco un Floris
un Santoro
un Vespa
a moderare
il tuo Verbo
strasbordante.
Il fatto è che non ci prendi
proprio un cazzo
in braccio,
perché le braccia 
non ce l'hai manco,
e con ciò non intendo
che sei focomelico
o un tirannosauro,
né che sei qualcosa
tipo puro spirito
- che mi sembra
insensato uguale -.
Con ciò intendo 
che proprio non ci sei più.
Che prima forse c'eri,
non lo so,
io di certo non t'ho ucciso,
né mi va di fare il Cluedo
con il Col. Nietzsche
il Dott. Freud
e Mrs. Marx:
"è stata Mrs. Marx
con la falce
in veranda".
Non mi interessa.
Quel che mi frega,
è che dopo la rabbia
per il fatto che c'hai abbandonato
come un genitore un tantino stronzo
dentro 'sta monnezza,
è subentrata la disillusione,
lo sconforto,
la bestemmia tripla carpiata,
l'accettazione amara
e
infine
la consapevolezza.
Consapevolezza che
un genitore che ti piglia in braccio
appena c'è un granchio sulla sabbia
è uno stronzo lui pure.
Che l'adultità
è uscire
da una condizione di minorità
e camminare stentando
non da babbo a mamma
in un recinto sicuro,
ma dalla vagina 
alla tomba
e di sicuro, per il resto,
non v'è fava.
Ma in mezzo c'è un sacco di roba,
si spera.
Roba a cui ho bisogno 
di trovare un senso
a prescindere dal fatto
che tu l'abbia creata
con uno starnuto,
o dal fatto
che sia il prodotto
di una partita a tetris
tra atomi che cadono
infinitamente obliqui
nel vuoto.
Perciò,
anche se in ritardo,
grazie Dio:
non esistere
è il più bel regalo
che potevi farci.
Comunque ci sentiamo,
ogni tanto.
Magari a Natale
si riunisce tutta la tavolata
e si fa un bel pranzo,
ci racconti ancora una volta
tutte quelle belle storie
che abbiamo già sentito
milioni di volte
e noi ti si sta ad ascoltare,
come si ascolta un vecchio
che parla di un mondo
che non c'è più.


domenica 23 dicembre 2012

La metà del diavolo

Si cosparse  il capo di cenere, dopodiché disegnò un cerchio nell'arena riarsa e vi si accucciò nel centro.
Attese tre giorni, rifiutando il cibo e le bevande che le mani gentili della moglie gli offrivano. Lo sguardo piantato contro il suo stesso diaframma, le onde argentate della barba che solcavano il petto, le gambe intrecciate come vimini; il naso aquilino disegnava un sottile pugnale d'ombra che divideva a metà il suo corpo secco fino all'ombelico.
Immobile e calmo, come un cedro chiomato.
Oltre il cerchio del rimorso, il gorgo dell'attesa.
La terza notte venne il drago.
L'occhio verde di un gatto, la luna nel cielo. Gomitoli di nubi ottenebravano a tratti la piana spelacchiata dai venti. Aria calcarea di salsedine, voce mendace di marinaio, lingua di mare raccontava spuma lontana tra i denti degli scogli.
Strisciava tra i roveti, strisciava su gomiti di squame, lento e sicuro come un cancro, strisciava.
Era serpe e cinghiale, e gambero di mare e uomo e donna.
Era un odore più di una forma.
Lasciava sugli arbusti puntuti brani di pelle grigia e pelo viscido, lasciava nel solco del suo incedere uova che schiudevano monete roventi di ossidiana. teste di cavalla, feti di cagne cieche e già gravide.
La sua schiena lucida era un brulicare di lumache.
Un brivido morse il coccige del penitente, come un cane nero, e subito seppe che era vicino.
La notte scintillava nel suo punto più sordo quando, alzata la barba dal petto, il vecchio trovò ad attenderlo la nuca lucida del buio.
Un'alga di seta gli avvolse le gambe come un'amante impaziente.
"Perchè tu non fugga" dissero le voci del drago, paterne.
Il vecchio sorrise, suo malgrado, dell'insicurezza del diavolo.
"Sono qui per riscuotere il mio credito", sibilarono le tre bocche della bestia.
Il vecchio lasciò parlare per prime le rughe della fronte, poi calibrò col bilancino della lingua dosi di miele, di veleno e di dubbio: " La tua potenza è tale che sarebbe stolto tentare di sottrarmi al tuo volere o di ingannarti, dunque sai di potermi considerare servo tuo, e fedele. Ma, Nemico, non so come accontentare le tue richieste, questa volta. Ti ho già dato metà delle mie bestie, e tu ne hai fatto demoni rapaci che tirano la mia barba nel sonno. Ti ho già dato metà delle mie terre, e tu ne hai fatto cimiteri di behemoth solcati da fiumi di lava. Ti ho già dato metà della mia casa, e tu ne hai fatto il nido di serpi, cimici e tarantole. Ti ho già dato metà di mia moglie e tu ne hai fatto un figlio che insozza il mio nome stuprando e pervertendo ogni cosa sul suo cammino. Ti ho già dato metà delle mie figlie, e tu ne hai fatto le tue concubine e schiave, e mentre lavoro  nei campi, sento dai buchi nella terra gli strepiti dei loro orgasmi e delle loro bestemmie al mio nome. Ti ho già dato metà del mio corpo, e tu ne hai fatto un regno di fuoco e arsura e febbri e ulcere e piaghe. Ti ho già dato metà del mio spirito, e tu lo tormenti ogni giorno con il dubbio, l'ira, lo sconforto, la tentazione, la meschinità, la misantropia, il richiamo suadente al suicidio. E certo, dopo la mia morte, ne avrai anche l'altra metà. Dunque cosa devo donarti ancora? Quando avrò saldato il debito che non ho mai contratto?"
Il drago tacque. Ogni cosa era ferma. Solo le cisti sulla sua schiena continuavano ad esplodere lasciando fuoriuscire lumache e siero bollente.
Poi le voci, imperative, soffiarono: "Voglio metà di ciò che hai, ma che non sai di avere".
Il penitente, muto, si protese in avanti, fino al limite del cerchio di sabbia e baciò una dopo l'altra le tre bocche del diavolo.
Subito la notte gli rubò i sensi, come un vino non mescolato.

Quando l'alba scese a carezzargli le palpebre, la prima cosa che sentì furono grida e risate e rumori di passi veloci, di balzi.
Si puntò sui gomiti, carezzò la fronte e la trovò, con sorpresa, liscia.
Poi, guardando oltre l'ombelico, lottando con le pupille fosche, gli sembrò di vedere una manciata di bambini, nudi, che giocavano a lanciarsi la pelle vuota e molle di una bestia indecifrabile.



giovedì 20 dicembre 2012

I tre penduti

Se potessi 
pupperei
le tue papille,
papperei
le tue pupille,
palla di pelle
di pollastrella;
ma non posso
e solo spilucco
piccoli pelucchi
che acchiappo,
pacato,
su capi di vestiario
comprati
al mercato.
Più ci piaci
se ci baci,
almeno taci
se vai in bici,
poi mi dici:
"c'hai cimici
più dei mici"
perciò quindi
tu mi schifi
e mi appendi
dentro i libri.
Due ciociare
senza denti
c'han dettato
venti canti
d'Alighiero
tal Durante
conosciuto 
in vita, morte 
e pure natural durante
come - certo! -
 Alighieri Dante.
Pare invece
che l'altro ieri,
mentre Ciccio
cacciava sparvieri,
han cantato
i suoi levrieri
sessanta sonetti
di Cecco Angiolieri.
Per finire
viene un villano
che farfuglia
coi suoi carillon
vividi e franchi
componimenti
di sua viltà
Francois Villon.


martedì 18 dicembre 2012

Gurdjieff, il ballo di piazza e la terza età


Ieri sera sono andato alle danze occitane.
Andare alle danze occitane mi piace perché puoi stringere le mani delle tardone. È una cosa un po' come schiacciare le palline d'aria degli imballaggi di plastica, solo che le mani delle tardone invece delle bolle d'aria hanno le vene varicose. A me piace schiacciare le vene varicose. Mi rilassa. Non scoppiettano, ma non importa; sono un ragazzo semplice e mi accontento di piccole cose.
Ma andiamo con ordine che adesso vi spiego tutto.

Se non mi hanno raccontato le bugie ogni primo mercoledì del mese in una piazza di Torino si raduna la gente a ballare queste danze occitane. Io lo sapevo da un po' che c'erano, ma non c'ero mai andato perché mai più pensavo ci fossero da schiacciare vene varicose. Ieri sera erano in piazza Carlo Alberto e dei miei amici mi fanno:”vieni, dai, su, vieni, dai, su”. Va ben. C'erano tipo trecento persone. Giuro. Avevo paura arrivassero i persiani a farci il culo, ma poi no. Uno mi ha chiesto se era un flash-mob. Per dire.
Per me, da quel che ho capito, le danze occitane cominciano che c'è uno che urla delle cose che non capisco. Urla forte, ha una bandana in testa e i tatuaggi sulle braccia. Quando uno che urla forte ha i tatuaggi e la bandana, allora arriva la ghironda. La ghironda è tipo un carillon che morde i diti. Ma grosso eh. Allora quello con la ghironda, che è premuroso, tira fuori il bottiglione di vino e arriva anche il fisarmonicista che quello non vede l'ora di bere, che suonare la fisa è proprio un lavoro infame, che la puzza di nostalgia ti si attacca addosso e bon, quella manco col lavaggio lungo a cento gradi la togli da dosso. Un violinista se si accorge che due strimpellano e c'ha il violino dietro, non vede l'ora di tirarlo fuori e far vedere che sa suonarlo. E quindi bon, ormai è fatta: uno col tamburo lo trovi sempre e via che si parte.

All'inizio ci sono solo gli afecionados che trottolano sul selciato come i cani che cercano di mordersi la coda. Poi però partono i cerchi che sono tipo l'attività politica: se passi di lì per caso ti tirano dentro e non ne esci prima di aver sudato via tutta l'anima e stretto la mano a gente che le salamandre sono meno viscide.
Io, per esempio, ero lì che aspettavo i miei amici in ritardo quando mi arriva una ragazza carina che mi fa “vuoi ballare?”. Io ragazza carina non è che volessi proprio ballare, ma se me lo chiedi con quelle belle mani tutte lisce e senza vene varicose attaccate sul fondo di quelle braccia abbronzate che si infilano proprio nelle spalline del vestito blu, va ben. Che poi si viene a scoprire che mi ha chiamato perché anche lei fa lettere e filosofia e mi aveva già visto; quindi, ragazza carina di lettere e filosofia che mi hai insegnato come si faceva a ballare, se mai dovessi leggere questa cosa, sappi che io di solito non ballo e che ho accettato solo perché non mi era mai successo che una ragazza carina mi invitasse a ballare e mi sono sentito allo stesso tempo un po' lusingato e un po' come quando entri per la prima volta nel bagno di una casa che non conosci e non sai bene dov'è la luce e hai paura di muoverti male che cadono tutti i profumi e poi sbagli mira e ti tocca pulire con la carta igienica che rimane sempre tutta appiccicata e fai più pasticcio di prima.
Il problema però, ragazza carina, è che nel cerchio la dama ti si sfila subito dalle braccia e passa a quello davanti e ti arriva tra le braccia un'altra dama che poi ancora se ne va, trallalero trallallà.
E io avevo pronte un sacco di domande per far conversazione, che secondo me attaccava, tipo: “ma dov'è poi st'Occitania che su googlemap non mi compare mica e non vorrei fosse una di quelle cose tipo la Padania o il Tibet, oppure una di quelle cagate che alla fine si scopre che l'Occitania in fondo è dentro ognuno di noi, basta saper cercare nel proprio cuore. Non è così, vero ragazza che svolazzi sempre più in là, cavaliere dopo cavaliere, e scompari nell'indefinita coltre di spilungone e gente con la barba?”. Non lo saprò mai.
Ma torniamo al punto: i cerchi.
I cerchi funzionano che la gente si mette in cerchio. Poi ci si dà la mano. Importante: bisogna essere disposti in modo che ci siano sempre alternatamente un uomo, una donna e una tardona. Quando la musica parte si sta fermi e si guarda gli altri. Individuato un anziano coi sandali, si comincia immediatamente a registrane le mosse. Non appena il movimento delle gambe vi parrà chiaro, sbagliatelo. L'errore di gambe scatena l'errore di passo che è la scaturigine prima della collisione con il vicino, la quale sfocia nella risata liberatoria che termina con la reciproca ammissione colpevole di non avere idea di cosa cazzo si stia facendo. Questa, se ho ben compreso, è la figura base del ballo occitano, alla quale, con la pratica e l'esperienza, si possono aggiungere delle varianti: lo scalcia-e-scappa, il dondola-i-gomiti-come-un-pollo, il non-ti-curar-di-loro-ma-balla-e-passa, il ti-prego-guarda-quello-che-si-muove-come-una-piovra e infine lo sgambetto-involontario-con-effetto-domino.
Ad ascella pezzata, ci si può prendere una pausa. Lì c'è sempre una fontanella circondata da gente che ha sete. Quando bevi a una fontana pubblica hai due scelte: sbrodolarti tutto o non dissetarti. Se ti sbrodoli tutto e hai la barba sarebbe carino tu facessi il sanbernardo, schizzando la gente intorno. Non è che devi, ma è questione di cortesia. Poi la gente ti indica e bisbiglia: “Guarda quello con la barba che non ci schizza neppure” e fa di no con la testa.
Poi ci sono i balli a coppie e quelli a quattro e quelli che corri un po' senza capire bene.

Ma non vi dico di più, che vi consiglio di andarci poi e vedere e sudare e saltellare. Anche se non vi piacciono le tardone, davvero, andateci, tanto loro non si offendono: danzano - tonde - in tondo, ineffabili sufi rugosi, confettoni di fondotinta e tulle, dolci babbà di simpatia intinti nella musica ubriacante. Vecchie.



lunedì 17 dicembre 2012

Sulla fiducia


C'è un solo punto, nella Dottrina del Diritto, in cui Kant è costretto a postulare l'esistenza di Dio - o almeno l'ipotesi che tutti i cittadini condividano la fede in tale entità - affinché il suo sistema di diritto, altrimenti estremamente laico e fondato sulla sola ragione, possa stare in piedi: si tratta del passaggio in cui affronta la questione del giuramento di fronte alla corte.
L'estremo garante delle asserzioni di un individuo deve essere un ente capace di onniscienza, altrimenti la verità celata nell'intimo della coscienza del soggetto potrebbe sempre sfuggire a una verifica definitiva. Con questa mossa, Kant, non fa che spostare sul piano metafisico un problema pragmatico. È infatti la fiducia, e non la fede, la garante ultima delle asserzioni di un individuo.

Questo diventa evidente nel momento in cui si considera il fatto che la professione di fede stessa non può essere garanzia di fede, se non per il più ingenuo dei giudici. Tuttavia, una garanzia è necessaria per porre termine alla spirale potenzialmente infinita del sospetto di malafede; altrimenti ad ogni meta-asserzione volta ad asserire la veridicità di una proposizione, potrà sempre seguire una meta-accusa che ne metta in discussione la credibilità e la buonafede.
È evidente che su queste basi nessuna comunità di individui può essere costruita.
Ma mentre la dichiarazione di fede - nell'ottica del giudice ingenuo che crede che il semplice riferimento ad un'entità onnisciente garante della veridicità dell'affermazione sia una garanzia indistruttibile della veridicità dell'affermazione stessa - chiama a testimone un'entità trascendente, la richiesta di fiducia chiama in causa la disponibilità a credere della giuria. Questo, ovviamente, non la rende immune da una meta-accusa di malafede.
Dunque cosa può interrompere la spirale del sospetto in un'ottica laica che rifiuta di assumere a fondamento del suo diritto e delle relazioni umane una fede generale e condivisa in un'entità trascendente e onnisciente?
In ultima istanza, la richiesta di fiducia chiama in causa la scelta dell'individuo che, per quanto possa appellarsi ad un calcolo razionale del rischio, non può prescindere completamente dall'accettazione di una componente aleatoria. Al soggetto particolare e non onnisciente cui è rivolta la domanda di fiducia si richiede un gesto rischioso, un salto cieco che - pur tenendo conto di tutte le possibili cautele - implica la messa tra parentesi della possibilità sempre presente della menzogna. La fiducia è l'oblio della menzogna. Essa apre un campo dove l'altro può mentire senza che la sua menzogna sia individuata da occhi che non siano i suoi.
In altre parole: ogni affermazione S - nella sua pretesa di essere vera - può essere messa fra parentesi e assumere la forma: “è vero che ( S )”. Ma questa meta-affermazione può a sua volta essere messa fra parentesi - cioè: “è vero che [ è vero che ( S ) ]” - , e così via ad libitum.

L'unico modo per uscire da questo empasse - ove non sia possibile una verifica dei fatti, e questo sembra essere il caso maggioritario nel momento in cui si tratta di relazioni umane - è l'escamotage di girare le parentesi in modo che includano la possibilità della menzogna e forcludano l'asserzione originale: “non è vero che ) S ( “.
Questa soluzione - che da un punto di vista strettamente logico e formale non aggiunge né toglie niente al problema - , ovviamente, non permette una garanzia assoluta, pur manifestandone in qualche modo l'esigenza.
La possibilità del tradimento è sempre presente, eppure, affinché la fiducia svolga la sua funzione permettendo il normale svolgimento dei commerci umani, deve essere in qualche modo - e in diversa misura a seconda dei casi e della propensione individuale al calcolo del rischio - accantonata, obliata, messa fra parentesi. Il tradimento è relegato sullo sfondo gestaltico da cui emerge la definizione accettata della realtà che lega inter-soggettivamente gli individui coinvolti nella relazione. Uno sfondo sfumato, che l'attenzione condivisa non percepisce distintamente. Solo così un'affermazione inverificabile che deve essere accettata come vera può svincolarsi dalla spirale del sospetto.
Tradire significa dire tra parentesi, lasciando deliberatamente che la menzogna cada nel campo impermeabile all'altro che la fiducia accordataci ha aperto.
Questo scarto, questo campo di solitudine che ogni rapporto deve prevedere, è il luogo dove il volto umano si prepara a sostenere l'affermazione, il retroscena dell'azione dove l'attore respira, tolta la maschera.


sabato 15 dicembre 2012

Stamane è pace


Finalmente il mattino:
un velo candido si sdraia
sulla brace notturna
coprendo la terra, palpitante.

Il Generale Inverno
ha imposto una bianca tregua
alle truppe ansimanti,
stanche della sterile guerra.

Risorgerà domani
dalle ceneri mai sazie
il conflitto sopito,
ma stamane è pace.

Stamane è pace,
fredda e cristallina,
sui tetti e i comignoli
tace la vita in sordina.

Si rattoppano i soldati,
si contano i caduti,
si risistemano muti
gli schieramenti opposti.

La neve è discesa
a congelare gli animi,
a cullare la stanchezza
di speranze mutilate.

Il domani arriverà
a spostar le pedine
di un Risiko senza fine;
ma, stamane, è pace.



venerdì 14 dicembre 2012

Mi son messo le dita

Mi son messo le dita
nel naso
mi son messo le dita
nella bocca
mi son messo le dita
negli occhi
mi son messo le dita
negli orecchi
mi son messo le dita
nei capelli
mi son messo le dita
nei budelli
mi son messo le dita
nel culo
mi son messo le dita
nelle ascelle
mi son messo le dita
nei pori
della pelle
mi son messo le dita
tra le dita 
dei piedi
mi son messo le dita
nel buchino 
del cazzo
Mi son messo le dita
in ogni
pertugio
ma sempre incappai
in un fondo
chiuso.
Mi son sentito 
un pozzo vuoto
e poco profondo,
una tazza
tappezzata
di schifezza.
Poi
Mi son messo le dita
nella massa grigia
e mi son sentito sprofondare
tutti i palmi
tutti i polsi
tutti i bracci
fino ai gomiti,
alle spalle,
alle reni
per poi cadermi
tutto dentro
e precipitarmi
infinitamente
e sentirmi svaporare
in un alito 
di nebbia
accidentale
condensa
sulla finestra
da cui il nulla
si guarda
la nuca.



sabato 8 dicembre 2012

Mr. Morning

Pistole spianate
facce gangsta
basso funky
sottofondo.

"Sputa!"
"Si, sputa
cazzone!"
"Ha detto di 
fottutamente sputare
cazzo tutto
checcafigliodiputtana!"

Straccio di sangue
denti rotti
labbra serrate
giace.

"Sonny, leggigli quella roba,
quella citazione evangelica"
"Si, Sonny,
leggigliela:
è roba che impressiona"
"Non so ragazzi,
mi sembra banale,
dico,
se non ha funzionato così
perché delle parole del cazzo..."
"Ehi, ehi, Sonny...
sciacquati la bocca
quando parli del Verbo
di Nostro fottutamente cazzo
Signore"
"Si, Sonny, è una questione di rispetto
verso chi crede"

Striscia sulla schiena
caldo in gola
ferro nel naso
pennella di rosso
le piastrelle.

"Va bene, va bene ragazzi
mi avete rotto il cazzo..."

Occhio d'invasato
pupilla vitrea
Desert Eagle
ombra nera 
sul rantolante.

"L'empio, l'avido, il malvagio
Di spergiuri, di frodi e d'inganni ha piena la bocca,
sulla sua lingua sono cattiveria e prepotenza
Sta in agguato dietro le siepi,
dai nascondigli uccide l'innocente
Si piega e si acquatta,
cadono i miseri sotto i suoi artigli.
Sorgi, Signore Dio, alza la tua mano,
non dimenticare i poveri
Tornino i malvagi negli inferi,
tutte le genti che dimenticano Dio.
Sorgi Signore, non prevalga l'uomo malvagio:
davanti a te siano giudicate le genti
Riempile di spavento, Signore,
riconoscano di essere mortali."

Silenzio.
Bocca chiusa.

"Ve l'avevo detto"
"Fottuto figlio di troia!"

BLAKA! BLAKA! BLAKA!

Odore di petardi
e hamburger.
Fumo.
Sonny si gratta la nuca
con il cane.
Il cranio di Mr. Morning
sfracellato.
In bocca
una pepita
scintillante
d'Oro.


"Anche questo,

l'abbiamo ammazzato".






giovedì 6 dicembre 2012

Sentiero moderno

Quando l'essere umano
si accorse
di essere umano
già stava camminando.
Si girò di scatto
e pensò:
"Ehi! Chi cazzo 
ha pensato?".
Poi, continuando a camminare,
s'accorse che il pensiero
lo seguiva
come un cane di grossa taglia,
che finché sta un poco avanti,
finché sta un poco indietro,
va tutto bene
e fa pure compagnia;
se invece ti sta al passo
e ti s'infila fra le gambe
- indisponente bastardo -
inciampi e non riesci
più a fare niente,
né camminare
né pensare
correttamente.
"Sta a vedere", pensò l'uomo,
"che questa cosa,
questo pensare,
è un effetto collaterale
del mio camminare".
Ad aver fede
nei peripatetici
forse
si.

Sia come non sia
pensando e camminando
camminando e pensando
pensando e pensando
camminando e camminando
per secoli e millenni
l'essere umano
s'è lasciato dietro
ruscelli
menhir
piramidi
Hammurabi
aratri
geroglifici
navi
rune
trappole
cavalli
felci
falci
alci
tralicci
polis
pergamene
cetre
biglie di vetro
pantaloni
coloni
armature
torri
filtri d'amore
radar
cassapanche
aiuole
cannocchiali
idee socialdemocratiche
reggiseni
conchiglie
libero mercato
laser
orologi
pentole
seggiole
pastelli a cera
dvd
twitter
liposuzione
piercing
e sbiancamento anale.
Ma la cosa che l'uomo mai
potrà lasciarsi dietro,
l'invenzione di sempre,
quella che proprio BAM!
è il sentiero moderno.
Qui volevo arrivare.
Il sentiero moderno,
o tapis roulant,
è il punto più alto
dell'umanità intiera,
dell'umanità in Terra.

E adesso vi spiego il perché.

Innanziprimo ha un nome
che ricorda vagamente
il "tapiro rullante",
il quale qualificasi quale animale
che ho appena inventato
- mammifero perissodattilo
del genere Tapirus
amante delle marcette militari
non meno che dei teneri germogli -.

Secondopoi il sentiero moderno
- come abbiam visto - è frutto
del creativo pensiero umano
il quale - come abbiam visto pure -
si crea dal camminare:
dunque l'usufruitore di tapis roulant
si trova nella gravida 
e invidiabilissima situazione
di essere su un macchinario
pensato per camminare
camminando sul quale
non si può finire che a pensare.
E a cosa pensa un uomo
che cammina su un simile gioiello
pensato per camminare
dal pensiero nato camminando?

Ebbene,
le ipotesi son molte,
ma quella che più mi convince
è detta familiarmente
"La teoria del Tapiro di Möbius".
Prima di essa,
a metà degli anni '60, 
un team di ricercatori ungheresi
propose questo 
esperimento mentale:
prendete un uomo che disponga
di energie infinite
e posizionatelo - camminante -
su un tapis roulant
ubicato nel vuoto assoluto;
in tali condizioni
egli non potrebbe fare a meno
di ripercorrere l'intero sentiero
evolutivo e culturale 
dell'homo sapiens
avvicinandosi asintoticamente 
al momento della creazione 
del marchingegno aerobico
sul quale sta deambulando.
Ma fu solo nel decennio scorso
che prese piede 
una più brillante soluzione
del rompicapo 
a partire dalle medesime premesse:
La teoria del Tapiro di Möbius,
appunto.
Essa afferma che
quell'uomo che cammina
sul tapis roulant
non può pensare
che a un uomo del tutto identico a lui
ma capovolto
che cammina su un tapis roulant
pensandolo.



martedì 4 dicembre 2012

Disegnami una coda da mordermi.

Lo stregone pescò 
un pugno di mosche 
dal borsello di zebra
e imboccò il serpente
che ne contò gli anni
uno per volta
finché s'accorse 
che ne mancava uno
e la sua pelle era morta.
quella sera la suocera
dal suo mazzo di carte
pescò un lesto fante
e finì di ricamare
il suo arazzo solitario
il suo sogno di famiglia
con la penna e il diario.
Da tre giorni
e tre settimane
una civetta canta
sul tetto della mia casa:
quando smette
il sole applaude
e posso sognare.
I dardi che il sergente
sistema nella faretra
non sbagliano mai un colpo,
per questo non li spreca
né li ha mai usati:
sono il lascito di un orso
che perdendo a poker
è rimasto in mutande,
ma per esso fu un guadagno
giacché solitamente
vagava nudo per il bosco.
Le scimmie urlatrici
hanno bottoni di bronzo
incastrati nei crani
che regolano i volumi
dei loro silenzi:
sono sempre spenti.
Un giorno una storia
mi ha chiesto sottovoce
di non esser raccontata
perché era una storia triste,
e io l'ho accontentata;
da allora è felice
si racconta da sè.
Una notte un sogno
educatamente
m'ha chiesto di svegliarlo
quando avessi finito,
finito di sognarlo.