lunedì 10 marzo 2014

I sassi non fanno girare l'economia

Ho provato
ieri
a vendere la mia vita
a un sasso.
Ho provato,
ma il sasso
ha rifiutato.

Ho contrattato.

Gli ho offerto
il fiato
grosso
dopo una corsa,
uno sguardo
panoramico
dall'area verde di Castellazzo,
l'impressione tattile
delle tue unghie
assorte
sulla mia nuca.

Gli ho offerto
un dito gelato di malinconia
che dal buco del culo
risale fino allo stomaco,
gli ho offerto
lo sguardo di odio
che germoglia
dalle orbite cave
di una testa di morto,
gli ho offerto
un filo 
d'argento
che non riesco
a infilare
nella cruna del senso.

Lui,
sasso,
stoico,
strenuo,
scuoteva i cristalli,
garbato.

Ho provato
a corromperlo
con vili denari,
likes su facebook,
sorrisi popolari,
cortesi
polari
ammiccamenti.
Ma niente.

Gli chiedo perché,
per che ragione
non ardisce
di vivere
e sentire
calore nelle viscere.
"è facile",
risponde
e risplende
di pirite:
lui, semplicemente,
preferisce godersi
l'ottusità,
la completa 
assoluta
esteriorità
di se stesso,
la noumenica
inarrivabile
pienezza
del vuoto
di coscienza.
Si spettina
gli atomi
e ride
nella brezza
di nulla
che spira 
dall'abisso
imperscrutabile
dell'inorganico,
sospira
ai tramonti fluorescenti
che squassano
i cieli ciechi
della fisica meccanica,
s'abbandona
ai brividi
d'impercettibili 
radiazioni cosmiche.

Lui è,
sostanzialmente,
alla fin-fine
- e anche all'iniz-inizio -
un cazzo
di sasso
- immobile.
E scemo io
che gli parlo,
e scemo io
che gli chiedo,
e scemo io
che mi credo
un rappresentante
porta a porta
della vita.

Grumo
d'inerzia 
grigia,
scoglio 
del pensiero,
servo
della gravità:
da morto
parlerò
il tuo rigido
alfabeto,
forse ci capiremo;
per ora 
ti scaglio
bestemmiando
sulla pelle
riflettente
di uno stagno.