giovedì 27 febbraio 2014

Una Cosmogonia

Ho visto ere
- zolle di tempo- 
scontrarsi, vacillare...

Costellazioni di fotogrammi
svanire
frantumandosi in sabbia.

Continenti floridi
arenarsi perduti
sul fondo del pelago algoso.

Arcaici eco
riverberano dagli abissi:
nomi d'attimi
di cui s'è persa lingua.


Brigit Kahle, James Cook's auge

***

Il Mondo è nuovo
costantemente nuovo, 
ogni secondo:
i nostri occhi lo invecchiano
di ricordi

le nostre lingue
lo incidono 
di vene, di rughe,
torturate dal male 
che solo non si cura:
la coscienza cristallina della fine

Coscienza
ch'è altro 
dall'odor di morte:
non fa guaire,
ma fa dar nomi 
alle cose.

Germi di senso
- spifferi -
malanni e brividi
sulla pelle di Mama Grande.


Fritz Henle, Nieves

***

La demente gravida,
assorbita dal pasto ancestrale,
si spulcia meticolosa;

Non sa cosa significhi 
"aspettare";
perciò sa farlo
meglio di chiunque altro.

La terra è fertile
di sangue sparso dal vento:
da lì viene il neonato.

Conosce il suo segreto,
per questo lacrima,
disperata forma,
e dimentica...


Jan Saudek, Marie Nr.1

***

Accettarsi esistenti
significa scordarsi l'oblio,
alzarsi per le scarpe.

E dalla prima dimenticanza
sorge l'ora della memoria,
ch'è lutto;

Dalla dimenticanza del lutto,
l'inafferrabile impresa,
ch'è vita.

E dalla dimenticanza della vita,
l'orizzonte,
ch'è speranza aperta,
gerarca illuminato dell'inganno.


Kishin Shinoyama, Due nudi di schiena

lunedì 17 febbraio 2014

Predrék, l'omino di gomma pane

Lui è Predrék
l'omino di gomma pane.

La vita di Predrék
è molto
molto 
molto triste.
Di una tristezza abissale.
Quasi quantica
megalitica
siderale.

Questo perché Predrék
- non si parla di parole
ma di fatti -
per mestiere
sai che fa?
Ebbene sì,
cancella tratti.
Tratti sottili,
tratti imperfetti,
tratti ritratti,
tratti stentati,
tratti abortiti,
tratti accennati,
tratti sfuggiti,
tratti alienati
- segmenti d'esistente
che potevano...
e invece niente.

Mani morbide
umidicce
d'artista
d'architetto
d'arrivista
lo rapiscon
nell'astuccio,
dal suo letto
dirimpetto
al tubetto
della china
- la boccia
di notte buia
dove dormono,
tra sipari di seppia,
tutti i possibili
segni,
tutti i possibili 
sogni -
e lo sputano
come cingomma
- masticato -
sopra al foglio 
maculato
a 4 zampe.

Ed eccolo,
Predrék:
s'arrotola,
mattarello
che distende
la sua pasta
di niente,
ed elimina
(schiaccia-sassi
schiaccia-sefossi
schiaccia-puòdarsi)
cul-de-sac
di matite,
secchi rametti
di grafite,
sbavature
assai sgradite.
Solo prevale
il tratto finale:
rigido bell'imbusto,
fortuito grifo ibrido
schifidamente
saccente,
vivido,
presente,
guardia giurata
di una realtà
che è reale
solamente
in quanto ideale,
apparente.

Finito il lavoro sporco
la tenera mano d'orco
lo avvicina alle narici
e l'annusa come madeleine,
ricettacolo nostalgico
d'un pallido universo
di grigio ricordo antico,
perso.

Per ultimo,
Predrék,
l'omin di gomma pane,
vien riposto - sic -
con gesto parodistico
di virtuosismo cestistico
nella sua custodia
e - ZIP! -
abbandonato al suo pianto
di coccodrillo alligatore
suo malgrado malfattore
assassino di ottativi
possibili mondi girini.

E nella penombra astuccia,
tra gli sguardi appuntiti
dei pastelli risentiti,
Predrék vede
tutto quel rimosso
- come tatuaggio di fumo -
venargli la pelle d'avorio;
tutti quegli errori
- com'edera d'argento -
avvinghiargli le membra lattee;
tutto quei rimpianti
- come cancro grigio -
divorargli le carni.

E la sua pasta
un tempo candida
sempre più si smorfia
in un cosmo magmatico
squassato da supernove
e vortici ellittici,
pulviscolo di dolore.