domenica 30 settembre 2012

Lamento di Vincent


Ad Arles, dove scorre il Rodano,
nell'atroce luce di mezzodì
un uomo di fosforo e sangue
lancia un lamento ossessionante
come una donna che partorisce
e il panno diviene rosso
e l'uomo scappa urlando
braccato dal sole,
un sole d'un giallo stridente.

A quel bordello vicino al Rodano
l'uomo arriva come un Re Magio
con il suo assurdo regalo,
ha lo sguardo blu e dolce
il vero sguardo lucido e folle
di quelli che alla vita donano tutto
di quelli che non sono gelosi
e mostra alla povera bambina
il suo orecchio posato nel panno
e lei piange senza capire nulla
pensando a tristi presagi
e guarda senza osar prenderla
l'orribile e tenera conchiglia
dove i lamenti del morto amore
e le voci inumane dell'arte
mescolate ai mormorii del mare
vanno a morire sulle mattonelle
nella camera dove la trapunta rossa,
d'un rosso d'un tratto eclatante,
mescola quel rosso così rosso
col sangue più rosso ancora
di Vincent morto a metà
e buono come l'immagine stessa
della miseria e dell'amore.

La bambina, tutta sola e senz'età,
guarda il povero Vincent
fulminato dalla sua tempesta
che crolla sul pavimento
disteso nel suo più bel quadro
e la tempesta se ne va, calma, indifferente,
rotolandogli davanti le sue botti di sangue,
la tempesta abbagliante del genio di Vincent.

E Vincent resta là, dormendo, sognando, rantolando
e il sole al di sopra del bordello
come un'arancia folle in un deserto senza nome,
il sole sopra ad Arles,
Urlando gira intorno.

Libera traduzione assai de Complainte de Vincent di J. Prévert





sabato 29 settembre 2012

Alla mia anima puzzano i piedi


Alla mia anima
puzzano i piedi.
L'ho vista tra le palpebre
del dormiveglia
l'altra mattina
entrare in camera
per coricarsi;
Era tornata
da un viaggio cosmico,
robe che non vi dico:
anni luce
di diapositive
di lei e la sua anima gemella
m'aspettavano
tatuate nelle cervella
al risveglio.
Era lì, ritta, in mezzo alla stanza,
pigiama fotonico.
ho perso tre pullman”
biascicava, sbronza,
alito fetido,
ho fatto la via lattea
a piedi”.
Barcollava,
s'appoggiò a una mensola
ruppe un gatto
di terracotta
che cambiava colore
col tempo.
Era nero.
Era notte.
meglio così”
sussurrò poi
meglio averli perduti,
i bus,
che sui cubetti di porfido,
vibrano come nokia
e mi solleticano la prostata
e mi causano
certe erezioni
che poi scendere
alla fermata
è tutto un imbarazzo
e un nasconderlo con la borsa:
scusi signora,
permesso,
io e la mia borsa 
dovremmo passare”.
Si sfilò
i calzini sudati
con rigore e precisione,
li poggiò
sullo schienale ligneo
della mia sedia,
li lasciò penzoloni
come lingue
a rifiatar,
come soppresse
a stagionar,
come leonesse
ad agguatar.
Puzzavan convinti,
senza se e senza ma,
puzzavan distinti,
appendici ultime
dell'estremità
dell'anima mia.
Poi l'anima
mi s'è accoccolata
nel petto
come un gatto
e ha cominciato
a darci d'adenoidi.
Cinque minuti dopo
il corpo s'è svegliato,
s'è tirato su dal letto,
e s'è accorto d'essere,
lui stesso,
il letto di un'anima
stanca e sudata.



venerdì 28 settembre 2012

Il male di ridere



Spasso, il male di ridere ho incontrato:
era il riso strozzato che gorgoglia,
era l'incespicarsi sulla soglia
rialza, era il cavallo sbottonato.


Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude l'asinina Ignoranza:
era la fatua flatulenza
del meriggio, e la bubbola, e il fallo alto levato.