sabato 23 agosto 2014

Tristezza d'Estate

D'Estate la tristezza
dovrebbe assicurarla
la mutua.
S'è lusso d'Inverno
- e così è bene - ,
per gl'occhi sudati
è il solo modo
di non soccombere
alle pance bianche,
alle occhiaie incavate,
alle ascelle pezzate,
ai liquori zuccherati,
alle risate dei gabbiani.
Senza tristezza
mezza sopravvivenza.

Guardate le frutte
che a dispetto delle bucce
e dell'apparenza
decisamente idiota
sanno bene 
cosa fare
e quando;
guardatele
lasciarsi cadere
molli
inerti
sui terreni aspri
sui cementi cittadini,
osservatele spappolarsi
in mezze giornate di sole,
marcire dal di dentro,
regalare all'alea
il loro nudo seme,
ciò che più le preme.
Poi contate 
le grigliate
moltiplicarsi,
i fumi di carne
salire in cielo
dai barbecue
come offerte votive
agli dei miopi,
i vini versarsi
nell'erba,
mischiarsi
alle larve
e al miele marcio
zuccherino
dei frutti
già detti.
Raccogliete
con lo sguardo
le carcasse
sulle strade,
gli hamburger
di tasso
che sfrigolano 
sull'asfalto.
L'aria è densa 
di cadaverina
e fruttosio,
il respiro buio
di tabacco
e atra bile,
e tutto sembra
disgregarsi
e svanire
come un vortice
di pulviscolo
o un secchio di sabbia
versato nel cratere
del mare.
Ma mai nulla muore,
mai nulla davvero:
arriva sempre
la risata gelida 
d'Inverno
a ghiacciar 
la putrescenza,
a imbiancare
le righe
nei campi,
a conservarci
più rigidi,
più stanchi.






venerdì 15 agosto 2014

Talete

Talete di Mileto,
filosofo e sapiente,
di notte guardava
il cielo stellato,
di giorno pensava
e non faceva niente.


Una sera
dopo cena
- perché per pensare
ci va la pancia piena -
uscì all'aria aperta
col solito intento:
scrutare, contento,
la volta scoperta,
blu,
brillante
immensa.

le sfere degl'occhi
fuor dalle orbite
delle sfere celesti,
passeggiava 
fra crochi,
filari di vite
e presagi funesti;
sgocciolando bava
col naso all'insù,
non ricordava
ormai neanche più
che i piedi poggiava
sulla terra
quaggiù.

D'un tratto
la punta 
del sandalo destro
incontrò scandalo
nel tallone 
sinistro,
e quel tale
- Talete -
ruzzolò per tre metri
e cadde
- in carpiato -
sul fondo di un pozzo
profondo e coperto
di muschio e di sterco.

Nel buio strillava
con voce spaccata
e nell'acqua gelata
mulinava le gambe;
nel mentre passava
di là, per caso, Iambe,
arguta servetta Tracia,
che, vista la scena,
apostrofò con sagacia
- e ben poca pena -
quel tonto sapiente
che ancora frignava:

"O stolto Talete,
di che ti lamenti?
la luna è nel pozzo
e l'hai presa fra i denti!
Sia... chiaro,
il tuo pensiero
- è vero -
è... profondo,
ma, invero, se vuoi
conoscer del Mondo
le leggi segrete
- mio caro Talete -
impara per prime
quelle del corpo
che ti vive appresso,
se no, ti confesso,
dalle stelle allo sterco
la distanza è di un passo."

E per sincerarsi
che fosse esauriente
la lezione di vita,
Iambe, repente,
solleva la veste
e gli mostra la fica.

Talete nel pozzo
ora piange, si pente,
e si bagna le dita
pensando alle stelle
e a Vener tra quelle
la sua favorita.