venerdì 30 novembre 2012

Dacci oggi il disagio quotidiano

Ero a un seminario
serio, serio
si parlava di biopolitica,
carcere, 
neoliberismo -
insomma:
Foucault a ettigrammi.
Ero inopportunamente ubicato
tra il chiarissimo Prof
e il volenterosissimo relatore.
Disegnavo faccine buffe.
Tutti quanti 
attorno al tavolo
avevano notato
che disegnavo faccine buffe,
ma non me lo facevano pesare
perché sarebbe stato
ancora più maleducato
che disegnare faccine buffe
mentre si parla di Foucault.
Per mostrare che
ascoltavo anche
e non avevo la testa piena
di faccine buffe e basta,
decisi di segnare a margine
- calcando -
il titolo di un libro
che mi parve interessante.
Ma la biro,
con un senso dello humor da biro,
decise di scaricarsi in quell'istante.
Allora calcai di più.
Niente.
Premetti ancora un po'.
No.
Più forte.
Sto cazzo.
Incisi.
D'improvviso il tasto da cliccare
sulla cima della biro
per farne uscire la punta
esplose
si eiettò in aria
seguito dalla molla
e dall'anima d'inchiostro.
Il volenterosissimo s'interruppe stizzito,
il chiarissimo rise nevrotico,
tutti pensarono a uno scherzo
a un gioco, un lazzo
una battuta fuori tempo.
"Perchè"
mi chiesi
arrossendo
di bestemmie interiori
e sorridendo
sull'atto versato
"perchè diavolo
sono sempre
un'ottava sopra
o un'ottava sotto?".

A questo pensavo
assorto
scalpicciando per la via
un'ora dopo,
quando vidi
il 18
passarmi davanti il naso;
trottai verso la fermata,
traversai la strada,
balzai sul marciapiede
ed ero già mezzo 
dentro al mezzo
quando sentii alle spalle
una voce stridula e affannata:
"Ehi!
EHI!
SiGnoRe!
sI FErmI!"

Mi volto
e vedo
questo volto
paonazzo
occhialuto
brufolato
da cui escon le parole:
"Ha perso questo foglio
dalla tasca!"
Lo prendo, meccanico,
dalla mano tesa
biascico un
"Grazie"
poco convinto
e già scompaio
dietro la porta
scorrevole 
impietosa
del 18.

Ora penserete
- e io pure lo pensai - :
sarà un foglio importantissimo,
chessò, una schedina vincente,
il testamento di un parente,
un certificato di sanità di mente.
Lo apro,
ma niente:
faccine buffe
e il nome di un libro
inciso per metà.

Sul subito
uno psico-vaffanculo
non glielo toglie nessuno
al volto paonazzo;
ma poi ripenso
a come è mutata la sua espressione
dopo il mio grazie incurante,
da fiera e piena
di speranza, di dovere,
a delusa e vuota
senza senso, senza speme,
e mi sento di aver perso
l'occasione
per far sentire a suo agio
uno che ha voluto
gratuitamente
immotivatamente
civilmente
farmi del bene.
Se potessi tornare indietro,
mio brufoloso amico,
fingerei commozione
nello spiegare il foglio:
salterei giù dal 18
e buttandoti le mani al collo
ti bacerei come si bacia
la terra,
la bandiera,
la mamma.
Poi con un balzo
di nuovo sul pullmanno
ti saluterei sventolando
il mio foglietto ritrovato
come un panno bianco
urlando:
"La vita!
Ti devo la vita!
Au-revoir!".

E per qualche giorno
ti saresti sentito
un cazzo di eroe
intonato col mondo.



mercoledì 28 novembre 2012

Yamuna

Remavo sul fiume
tra scatole di assorbenti
bombole del gas
carcasse di airone.
Remavo lento
nel silenzio indiano,
scivolando opaco
sullo specchio immobile
di quella vena morta.
Remavo così,
sul fiume,
quando ti vidi
venirmi incontro
vestita di sanguisughe,
la pelle color ciano.
Dietro il velo
delle cataratte
sentivo sciogliersi
pappa di pensieri,
tra le dita 
i bachi tessevano 
guanti di bava.
Fissai la mia mano,
le mie due dita monche;
ti allontanai col remo
e scivolai via.
Nel nido del tempo,
il desiderio che ristagna,
schiude una peste
che consuma
ogni cosa
troppo presto:
mutila i corpi,
avvelena i frutti,
irrigidisce i movimenti.

Passò un gabbiano,
respirai il cielo:
com'era la salsedine,
il mare aperto?






martedì 27 novembre 2012

Bestemmie a denti stretti

I bar sono acquari
per persone.
Le edicole, l'immagine
dell'eterna stasi 
dell'attualità.
Le metropolitane, esofagi
che deglutiscono i pendolari,
li conducono ai loro stomaci.
L'autunno di Torino,
un'attesa slabbrata,
un diavolo a molla
rotto.
La mia coscienza,
un avvoltoio,
un coyote,
un animale spazzino,
che si legge il giornale
seduto sotto la pioggia
di fianco a me,
sulla panchina;
ogni tanto si gira
e mi strappa 
un lembo di fegato,
un dito,
un occhio,
un boccone di memoria.
Questa lunga attesa
sotto la pioggia
senza la sciarpa:
sento già
che mi prendo
una brutta serietà.


Telo bianco
- nebbia lattea -
metafisico
tagliato dalla lama
tecnica
del treno:
dentro, 
dormono beati
cullati dal nulla
i figli
dei figli
dei figli
incestuosi
di Eichmann
e Treblinka.



domenica 25 novembre 2012

Ritmo

I ritmi creano
lo spazio e il tempo
del soggetto;
spazio e tempo non esistono,
non sono vissuti,
se non in quanto materializzati
dentro un rivestimento ritmico.
I ritmi creano
anche le forme.

Un gran numero di gesti
ripetuti a intervalli regolari
si trovano anche 
nel martellamento degli uccelli 
che rompono molluschi o semi,
o cercano il cibo nella corteccia;
essi però raggiungono l'eccellenza nei Mammiferi,
e nelle grandi scimmie.
Una delle caratteristiche dell'umanità
fin dai primi stadi,
è stata l'esecuzione di percussioni ritmiche,
ripetute
a lungo.
Questa operazione è l'unica
che segna l'ingresso nell'umanità.

Fin dall'inizio
le tecniche di fabbricazione
si collocano in un ambiente di ritmi
muscolari,
uditivi,
visivi,
derivati dalla ripetizione
di gesti di urto.
Il martellamento
esige percussioni lanciate
e la raschiatura
percussioni oblique, poggiate.
Allo scalpiccio,
che è il quadro ritmico della marcia,
si aggiunge nell'uomo
l'animazione ritmica del braccio;
lo scalpiccio
regola l'integrazione spazio-temporale
ed è all'origine dell'animazione nel campo sociale,
il movimento ritmico del braccio, invece,
regola l'integrazione dell'individuo
in un sistema che non crea più spazio e tempo,
ma forme.
La ritmicità del passo
è approdata al chilometro e all'ora,
la ritmicità manuale 
ha portato a catturare e immobilizzare
i volumi.

Fra il ritmo musicale
fatto di tempi e di misure
e il ritmo del martello e della zappa
fatto di procreazione di forme,
la distanza è notevole:
il primo traccia una separazione simbolica
tra mondo naturale
e spazio umanizzato,
mentre il secondo trasforma materialmente
la natura selvaggia
in strumento.
L'uno e l'altro, 
sono strettamente complementari.

La musica,
la danza,
il teatro,
le situazioni sociali vissute e mimate
appartengono all'immaginazione,
cioè alla proiezione sulla realtà 
di una luce che illumina
in maniera umana
lo svolgimento banalmente zoologico
delle nostre situazioni.
Il ritmo tecnico
non ha immaginazione,
non umanizza comportamenti,
ma materia grezza.
La lenta invasione del tecnico
ha posto l'immaginazione
in una situazione nuova:
mentre il mito si frantuma,
l'arte dissimula la sua crisi
col mito dell'arte per l'arte.
Nella fase attuale 
gli individui sono permeati,
condizionati,
da una ritmicità che ha raggiunto
lo stadio di una meccanizzazione
pressoché totale:
nel dominio del meccanicismo
spazio e tempo sono demistificati.

Colpisce vedere che
nelle società dove scienza e lavoro
sono valori che escludono il piano metafisico
viene fatto il massimo sforzo
per salvare la figurazione e il mito:
pittura storica,
culto degli eroi del lavoro,
deificazione della macchina.
Sembra quasi che
l'equilibrio costante
che coordina dalle origini
la figurazione
e la tecnica
non possa venire infranto
senza che sia messo in discussione
il senso stesso
dell'avventura umana.

(Taglia e cuci da Leroi-Gourhan, Il gesto e la parola)


La cacca formidabile




Ho fatto una cacca,
cari amici,
straordinaria.
Quando ho aperto 
la porta per andarmene
ho sentito
- alle spalle -
tutti gli utensili del bagno
applaudire,
ammirati:
Gli spazzolini nel bicchiere
fischiavano, 
esagitati,
dondolando le setole
come seppie in calore,
e lanciavan
occhiate d'invidia
allo spazzolone del cesso
ch'ebbe l'onore
di tastarne la consistenza,
e si pavoneggiava
mostrando
il marron resto
sull'ispida sua testa;
il lavandino,
commosso,
lacrimava
droppando
gocciole tonde
nel fondo mistero
del pozzo nero;
il sapone,
con la goccia al naso,
gridava:
"l'ho toccato! L'ho toccato!";
Lo shampoo,
incredulo,
scuoteva il tappo
e ripeteva
alla sua docciaschiuma
un mantra isterico:
"incredibile,
incredibile...
e io c'ero!";
l'asciugamano,
solo,
pendeva inerte,
ubriaco
come una spugna,
lurido,
ormai privo di coscienza,
dondolava i suoi lembi
in segno muto
d'apprezzamento;
un rasoio
rilucendo
mi saltò al collo
e pianse:
"T'amo,
t'amo e ti stimo,
è il tuo capolavoro,
e io lo so d'istinto
che non l'eguaglierai:
perciò, sogni d'oro!".



mercoledì 21 novembre 2012

Faccia-maschera-di-sorriso


Faccia-maschera-di-sorriso
è quando piace
e intorno-grigio.
Faccia-maschera-di-sorriso
ha suono
che fa tira faccia-di-me
e fa ha suono me
e fa diventa faccia-di-me maschera-di-sorriso
e me piace
me è uguale
me è noi.
Quando non piace
buco-di-entra-di-me
fa “Ah!”
e Faccia-maschera-di-sorriso
diventa dentro intorno-grigio
e adesso piace.
Quando è intorno-buio
e non piace
e fa “Ah!”
e ri-fa “Ah!”
e ri-fa “Ah!”
allora no diventa
Faccia-maschera-di-sorriso.
Allora diventa Faccia-maschera-di-morte.
Faccia-maschera-di-morte
ha suono non piace
ha suono che fa ha me acqua calda di sotto.
Allora buco-di-entra-di-me
diventa no-“Ah!”.
Quando Faccia-maschera-di-morte
ri-entra in intorno-buio
e solo me è in intorno-buio
faccia-di-me diventa maschera-di-morte
ma me no è uguale
me no è noi.
Così me fa inganno a Faccia-maschera-di-morte
e acqua calda di sotto
diventa fredda
e intorno-buio
diventa dentro finestre di faccia-di-me
e me no più no piace
e me diventa no-più-me.

In tempo-di-palla-gialla-di-su
Faccia-maschera-di-sorriso
trans-porta me
in intorno-gioco.
Me piace intorno-gioco.
In intorno-gioco
diventa sempre con giochi.
Questo nuovo tempo-di-palla-gialla-di-su
Faccia-maschera-di-sorriso
fa guarda me
nuovo gioco.
Nuovo gioco
è non uguale
è come acqua fredda dura
è quattro-lato
è pieno di giallo-caldo di palla-gialla-di-su.
Quando me guarda nuovo gioco
me trova in nuovo gioco
pieno di faccia-di-me
e trova che faccia-di-me
è faccia-maschera-di-pelo-di-me
no liscia
come Faccia-maschera-di-sorriso.
Me no piace.
Me fa suono
“Ih!”
e Faccia-maschera-di-sorriso
diventa Faccia-maschera-di-morte-che-inganna
e ha suono che inganna
“Ah-ah-ah-ah!”.
Me no piace.
Allora me strappa pelo
di faccia-maschera-di-pelo-di-me
così me è uguale Faccia-maschera-di-sorriso
così me è noi.
Me sente acqua-calda-di-dentro
che scende su faccia-di-me.
Allora me ha suono
“Ih!”
“Ih!”
“Ih!”
e me diventa quasi-no-più-me.
Allora me strappa
finestre di faccia-di-me
me strappa via
finestre di faccia-di-me
e intorno-gioco
diventa intorno-buio
dentro di me
e me diventa no-più-me.



lunedì 19 novembre 2012

Quella volta che ho sfidato un bielorusso nella lotta libera

Quella volta che ho sfidato un bielorusso nella lotta libera
ero completamente ubriaco.
Non mi ricordo come è cominciata
la faccenda,
né perché,
ma quando mi sono reso conto della cazzata
avevo già le mani intrappolate
in due tenaglie di acciaio bielorusso.
Ero più alto di lui di qualche dito,
aveva le spalle più larghe di me di qualche metro.
Era una specie di "T" maiuscola.
Un albatros
avrebbe avuto qualche difficoltà
ad abbracciarlo.
Non ho mai fatto la lotta libera
e non sono particolarmente forte nelle braccia,
ma ho una pancia piuttosto ostinata;
la Forza di Gravità era dalla mia:
la sentivo incitarmi da dietro la schiena,
come Afrodite con Paride
come un personal trainer con un'anziana:
"Dai ragazzo,
lasciati cadere su di lui,
crollagli addosso,
fai lavorare quei tortellini!".
Resistetti mezzo minuto,
forse uno,
non di più,
poi mi schienò.
Ma tanto mi bastò per fare la seconda cazzata della serata:
vantarmi delle mie prestazioni belliche.
Con ciò ottenni due risultati disastrosi:
una sfida al meglio dei tre,
e la sua gelida ira slava.
Mai provocare uno slavo piastrellista, 
ragazzi,
mai.
Dei due round che seguirono
ho ricordi confusi e frammentari:
le voci ovattate dei miei amici
che gridavano 
"L'Orso Biellese! L'Orso Biellese! L'Orso Biellese!",
i suoi occhi chiari nei quali
tentai invano
- tentai supplicando -
di cogliere un qualche accenno 
d'ironia,
le mie mani che rapidamente
si spappolavano
come pavesini nel the caldo,
le sue parole prima dell'ultimo round:
"Ti spiezzo in due".
Non scherzo,
erano riusciti a convincerlo a dirlo.
"Ti spiezzo in due".
Stavo combattendo
contro un cazzo di stereotipo sovietico.
L'ultima cosa che ricordo
è la Forza di Gravità
che getta la spugna
come Clint Eastwood 
in Million Dollar Baby
e correndomi incontro 
sussurra in lacrime:
"Il mio ragazzo,
il mio ragazzo
...".
Poi il vuoto.
Quando finalmente
riaprii gli occhi
vidi il lavandino del bagno
dell'amica da cui avevamo cenato
che era diventato uno stagno viola
su cui galleggiavano
immobili
pleisosauri di spaghetti.


domenica 18 novembre 2012

Tentativo di descrizione di un banchetto in casa di Vittorio - Biella

Quelli che divanamente,
quelli che jannaccianamente,
quelli che barbaramente,
quelli che vegetarianamente,
quelli che psicotropano,
quelli che museano,
quelli che mesciono,
quelli che mingono,
quelli che mancano,
quelli che brulicano,
quelli che blucerchiano,
quelli che caposselano,
quelli che oppure Tabacci,
quelli che pugnano,
quelli che pignano,
quelli che pagnano,
quelli che pro pongono,
quelli che ripongono
fiducia in Hamsik,
quelli che ricordano,
quelli che riaccordano,
quelli che si scordano
quelli che bussano
chiusi fuori,
quelli che zonzano 
il cane,
quelli che punzonano 
il cane,
quelli che AntonioRezzano
il cane,
quelli che osservano
il cane
mentre dorme
il cane,
quelli che fanno la voce
del cane,
quelli che sono il cane,
quelli che il gorgonzola è finito,
quelli che il gorgo è appena iniziato,
quelli che recidono fette di pizza con le cesoie,
quelli che affettano il salame,
quelli che divorano il salame,
quelli che deretinano il salame,
quelli che il salame è l'unica alternativa all'alcolismo,
quelli che etilicamente,
quelli che osteria numero millano,
quelli che millantano,
quelli che s'arrossano,
quelli che purezzano,
quelli che ricciano,
quelli che orgasmatron,
quelli che pio piono,
quelli che intrecciano lacci,
quelli che si districano,
quelli che s'avvolgono,
quelli che ventagliano,
quelli che ventilano,
quelli che valutano,
quelle che tette,
quelli che rubano le mani altrui,
quelli che se ne stanno con le mani altrui in mano,
quelli che mano a mano,
quelli che restituiscono le mani altrui,
quelli che hanno una buona mano,
quelli che distrattamente,
quelli che hanno il carico,
quelli che briscolano,
quelli che bussando porcodiano,
quelli che dov'è finito il cane?,
quelli che odiano le bollicine,
quelli che odiano quelli che odiano le bollicine,
quelli che frizzano,
quelli che ruttano,
quelli che cortesemente,
quelli che filtrano,
quelli che flirtano,
quelli che suadentemente,
quelli che fuggono,
quelli che passano,
quelli che domani mattina fanno otto chili di pancake,
quelli che ammazzano i preti,
tutti costoro,
e molti altri ancora
come gorilla nella nebbia
mutilano la notte
cercando - chirurgici - per l'ennesima
il cuore del sabato sera.


venerdì 16 novembre 2012

La rivoluzione che verrà


La rivoluzione comincerà alle ore 9 in Piazza Arbarello.
Un flash mob collettivoglobaletotale e infinito.
Tutti - e dico tutti - completamente nudi in Piazza Arbarello.
I registi russi coi soldati mammalucchi, le soubrettes con i centri sociali, gli alchimisti con le vedove di guerra, i bassisti funky con i celerini, gli idrocefali con i tubercolotici.
Ci saranno peni di gomma e vagine concettuali, seni vuoti, seni pieni, coseni, ghiandole in esubero, escrescenze carminie, piccole bocche, grandi labbra, testicoli elmettati, capezzoli strabici, ani fischiettanti, bistecche di silicone, froge vibratili, corpi cavernosi a riposo, frenuli tesi, peli canuti, cani peluti, clitoridi oscillanti come pendoli d'amore universale che battono l'ora della libertà.
La trasparenza è virtù rivoluzionaria.
L'occhio non vuole la sua parte: vuole tutto, e subito. Senza schermi e senza ma.
Il mondo diventerà un enorme palazzo di cristallo e specchi dove tutti potranno vedere tutto di chiunque in qualsiasi momento e da qualsiasi prospettiva.
Una ciclopica scatola di Petri dove andare e moltiplicarsi.
Il corteo marcerà, compatto e sudato, verso il centro di torino, riversando nelle strade come un flusso, attraverso i corpi, tutta la libido dell'umanità.
In Piazza Castello, un leader carismatico intercambiabile darà il via all'orgia cosmica con un climax megafonico che terminerà nello slogan: “Noi alla crisi ce lo buttiamo”.
A seguire ierogamie, sacrifici di vergini, tori e capricorni, moltiplicazione dei peni e dei pesci, quaglie che si cimentano nel fosbury, trenini sui binari del tram, coiti interrotti da altri coiti interrotti da altri coiti interrotti da altri coiti... e altre gioviali pratiche guascone. Tutte rigorosamente mimate, ritualizzate, interrotte - è ovvio- , mai compiute o terminate: il desiderio è rivoluzionario, la soddisfazione è borghese ed anti-democratica. La soddisfazione è reazionaria!
La polizia - nello specifico rappresentata dalle camionette della polizia, gonfie di uomini nudi della polizia armati di manganello - si unirà pacificamente alla rivoluzione cominciando ad interessarsi a problematiche di genere, pratiche di piazza, decrescita felice, orti urbani e tessuti di canapa.
Persino il sindaco - nudo anch'esso, con la fascia da sindaco tatuata sul corpo rachitico di sindaco - si unirà alla protesta. Anche la sua giunta. Anche la regione. Anche lo Stato. Persino la massoneria, i rettiliani e le multinazionali. Lebbbanche. Qualcuno vedrà Yaweh, nudo, aggirarsi sulle acque della rivoluzione. Persino la Scienza, nuda, coperta solo da qualche pagina di Piergiorgio Odifreddi, si accoderà esitante al corteo. Solo i marxisti-leninisti, in un angolo, vestiti stretti nella camicia e nella cravatta, continueranno a volantinarsi tra loro volantini inneggianti la rivoluzione, bisbigliandosi fugaci negli orecchi numeri di telefono e arcane formule di abbordaggio.
Quando l'astro luminoso - pure lui ignudo, ma da miliardi di anni - raggiungerà lo zenith in un tripudio di fulgore cosmico e neoplatonicheggiante, l'orda rivoluzionaria arriverà in Piazza Vittorio e, dopo aver invocato i grandi Dei Egizi con salmi e lustrazioni, comincerà il momento clou: la masturbazione eterna.
Tutti saranno seduti in cerchi concentrici - una statua del Divino Ermafrodito nel mezzo - e ognun col suo attrezzo si titillerà in eterno. O almeno così si dice.
Dopo trenta minuti di sfregamenti cominceranno i primi rossori. Dopo un'ora: urla di dolore. Dopo due ore: sanguinamenti. Dopo tre ore: mutilazioni genitali.
Quand'infine uno viene, sviene. S'accascia per venti minuti. Si rialza, morto, e si riveste. Guarda l'ora: le tre. Vado a casa e mi faccio un boccone. Poi torno. Sicuro che torno.