lunedì 22 luglio 2013

Collacchitarraimmano

Cucinare
a torso nudo
caponata,
accompagnato
dalla filodiffusione
e dall'ascella
sudata.
Acerto 
cappuero
melanzina
zucchiero
pepperonni
cipollo
sedeno
olivia
e ci metto
pure due zuccotti
così per far:
L'abbondanza
agrodolcia
pervicace
spinzillacchera
la narice
sfrigola
la cervice
e la voglia 
d'amar.
E intanto le storie di ieri
rincorrono i pensieri
sui levrieri
delle palpebre calanti
di cantanti genovesi
e le mie labbra a culo
fischiano stonate
serenate maltesi
per fianchi scoscesi,
seni bianchi accesi.
firu-
firu-
firulà.
Totocalcio
Totò Schillaci
Totò Di Natale
Toto Riina
Todomodo
tutto tondo
tutto il mondo
canta Toto 
Cutugno Totò
eterno secondo:
lasciatemi conservare
la melenzana in vetro,
sono un italiano,
un italiano vero.


mercoledì 3 luglio 2013

Il salvadanaio fra le gambe


Santo Stefano al mare è uno di quei piccoli paesi aggrappati sull'Aurelia; un tirabaci sulle labbra di pietra della Riviera di Ponente. Più un herpes, ad essere sinceri. Da piccolo ci andavo in vacanza, a giugno, subito dopo le scuole. Mio nonno ci aveva comprato un alloggio e i suoi figli se lo dividevano, durante le vacanze estive, colonizzandolo per qualche settimana a testa. 
Vent'anni fa il mondo era incredibilmente più grande, ma ogni posto era più vicino: tutto ciò che esisteva stava dentro l'orizzonte dello sguardo, ma era irraggiungibile. La Nigeria era il canneto sotto al balcone. La Jungla tropicale era l'orto del signor Armando - appena dopo l'arco basso, venato di serpenti-rampicanti. Nella Jungla ci sono pidocchi, felci, basilici, gatti neri, gatti marroni, gatti maculati, albicocche e le zucchine trombetta; che la mamma taglia col machete e fa andare col pomodoro. E sono buone, più buone delle zucchine normali, perché vengono dalla Jungla. Forse è per via che ci pisciano su le scimmie gorille. 

Poi c'era il muro con le caccole appiccicate. Caccole gigantesche, di elefante. Probabilmente è andata che un nero della Nigeria, arrivando dal canneto con una cesta di pepe in testa, ha fatto starnutire il suo elefante, e allora il muro è ancora tutto umido e verde. 
Poi c'era il balcone arancione dove Lucio Dalla cantava "Attenti al lupo! Owanciugadda-oh-oh-oh-ohooo-oh!" e la mamma si metteva lo smalto rosa sulle dita storte dei piedi.
Ma la cosa più importante dell'alloggio al mare, è che c'è cortiletto. 

Il cortiletto è oggi, nella realtà dei fatti, una decina di metri quadri di spazio piastrellato in piano e all'aperto; un trapezio arancione le cui basi danno una verso la porta d'ingresso del condominio, l'altra verso un muretto che lo separa dalla strada. Ma vent'anni fa era una distesa di campi da gioco divisi da linee immaginarie che, dalle 7 alle 11 di sera, ospitava gare internazionali di biglie, bocce, palla, a-s-i-n-o, schiaccia sette, schiaccia cinque, strega tocca color, lupo mangiafrutta, salto della pulce, ratto della Barbie, ce l'hai e qualsiasi altro sport incluso nelle olimpiadi dell'infanzia. Nel periodo estivo, la sera dopo cena, il cortiletto cadeva sotto il dominio di una mafia di bambini dagli zero ai dodici anni. Un'organizzazione parallela allo stato dalla quale chiunque avesse raggiunto la pubertà era bandito per sempre. La peluria sul labbro superiore era il marchio vergognoso dell'infamia.
Se devo dire la verità - e non sono tenuto a farlo - non ricordo quasi più nulla di quei giochi. Forse non si possono raccontare come si raccontano delle partite o dei match fra adulti che si ritrovano per caso a svolgere le loro attività ricreative fianco a fianco, in un medesimo spazio. Forse bisognerebbe immaginarsi, più che altro, un habitat non dissimile dalla barriera corallina; dove pesci sgargianti e guerrieri convivono senza mordersi nella stessa nicchia ecologica con altri esemplari dalla livrea differente. Ma appena il loro sguardo tondo e amplificato di pesce cade su una macchia di colori speculari a quelli delle loro squame, ecco che iniziano inseguimenti furibondi e baruffe e morsi e pinnate e "qua c'ero prima io". L'unico problema è che i bambini cambiano colori ogni istante; perciò non si potrà mai prevedere tra chi e per cosa si accenderà una nuova lotta, sfida, gioco, corsa a perdifiato, coppino, colpo di tacco, urlo, capriccio, goal.

Oppure, mi viene in mente una certa Napoli delle novelle di Boccaccio, o del Candelaio di Bruno: un vertiginoso caleidoscopio di forme di vita brulicanti, guardando dentro al quale si può veder mutare in un baleno il proprio amante in una testa di morto e, l'attimo dopo, questa in una pianta di basilico; una ruota della fortuna dove il leone che aveva azzannato l'asino, il turno successivo, si trova un cazzo equino in culo.
Solo in quelle ragnatele di rapporti tenuti assieme da bava bambina s'impara, io credo, a fottere il prossimo e a trovarsi le tasche tagliate, a fidarsi e a tradire, ad aggregarsi e scappare. Lì, se volete, c'è il brodo primordiale della società umana.

Ma non è questo il punto.
Il punto è che nelle ultime settimane sto dormendo  da un amico, a Torino, perché per la prima volta in vita mia sto facendo qualcosa di non troppo diverso da un lavoro, e perché aspetto la gogna della tesi.
Fatto sta che stasera, dopo la doccia, ero da solo a casa e un po' triste per fatti che non devono interessarvi, e allora ho messo su "Se potessi, amore mio" di Luigi Tenco e mi sono messo a guardare giù dal balcone, a torso nudo e con i capelli sgocciolanti. Sul balcone di fronte, una donna bionda e scosciata stava sdraiata in tutta la sua considerevole e affusolata lunghezza felina. Da qualche finestra un litigio cinese echeggiava Tenco. In cielo una luce ambrata. Vola una mosca zzzztante davanti al mio naso e s'impicchia in basso verso il cortiletto e, come una macchina da presa su un carrello, il mio sguardo la segue puntare verso l'aiuola. Attorno all'isola verde si sparpaglia una manciata di bambini intenti a bambineggiarsi. Uno oscilla le braccia, una ha il cerchietto, uno è nascosto dietro un alberello, un'altro, poi, lo cerca; l'ultimo chiede: "che state facendo?". E tutto questo - tutto questo - si svolge appena oltre la mia pancia pelosa e cieca, nel mondo omertoso dei bambini, dal quale sono escluso. 


La bambina col cerchietto è bionda e credo si chiami Jessica. è arrivata a Santo Stefano già da diverse settimane, ma non ci hai mai parlato perché ti vergogni. Ha quattro anni e tu cinque: se fosse un maschio, saresti in vantaggio, ma in queste cose non funziona così. Questo, almeno, è quel che ti dice Leonardo. Leonardo, arricciandosi il codino imbiondito dal sole, dice anche che si vede che vi piacete e che dovete stare insieme. Quando gli chiedi perché, lui ti dice che è perché lui ha sette anni e lo sa. Ha vinto. Dice anche che devi andare a dire le cose dei baci.
Ma tu non sai cosa si deve dire alle bambine bionde col cerchietto, e poi in ogni caso ti vergogni perché sul balcone c'è la mamma che guarda giù e quindi non si può, con la mamma che guarda giù, corteggiare le bambine bionde - con o senza cerchietto. 
Allora Leonardo dice che ti devi sbrigare perché lei se ne va via tra due giorni e domani sera magari non c'è neanche più, e poi c'è anche Silvio che vuole dirle dei baci. Ti giri livido e vedi Silvio che gira intorno su se stesso come un sufi ubriaco attorniato da bambini sinceramente colpiti dalla sua arte performativa. No, non puoi lasciare la bambina col cerchietto (ma si chiamava Jessica o Stefania?) a quella caciotta fetecchia di Silvio. Come cazzo fai a chiamarti Silvio a cinque anni? e poi a girare in tondo sono capaci tutti: è stare in piedi dopo - Silvio - è stare in piedi e pestare la monetina, dopo, che nessuno ci riesce mai.
E allora in un impeto di orgoglio dici a Leonardo di andarle a parlare per te, di portarla dall'altro lato del condominio, dove c'è il muro con le caccole d'elefante, lontano da occhi indiscreti. Lì le dirai dei baci.
Leonardo annuisce, azzurro e vispo negli occhi, agile e olivastro nel corpo maculato di spellature. Lo osservi andare verso la bambina bionda e destare stupore tra le sue ancelle bionde (ma meno bionde) per aver infranto la regola di separazione maschi/femmine al di fuori dei giochi condivisi. Si presenta energicamente, indica dalla tua parte e poi in direzione del muro delle caccole. In quell'istante, per un solo istante, i tuoi occhi bambini incrociano gli occhi bambini azzurri della bambina col cerchietto. Il nome di quella cosa che ti morde la pancia lo sapevano forse i sumeri, ma sicuramente non è mai stato pronunciato. Arrossisci e guardi il cielo, pure rosso.
Quando Leonardo torna indietro, ha un sorriso appeso al volto. Mi dice di andare, che lei m'aspetta con le sue ancelle vicino ai tubi del garage, appena sotto il muro delle caccole. Il garage è un posto da grandi, "accompagnami, Leonardo". Percepisco che ha colto la codardia nel mio cuore, e ciò mi ferisce; ma è pur sempre l'amante di mia cugina - Lalessia - e non può certo rifiutarmi l'appoggio nel bisogno. A maggior ragione in quanto primo artefice di questo spinoso garbuglio amoroso. E così m'accompagna, seguito da uno stuolo di elfi, suoi adepti, attirati dall'occasione di un incontro con la razza delle femmine aldifuori del mondo del gioco. "Parlano con delle loro se stesse in miniatura di plastica!"; "Non odorano di tericcio!"; "Hanno un salvadanaio tra le gambe!". Queste ed altre portentose dicerie serpeggiano tra il clan, durante il tragitto di avvicinamento. Leonardo guida la truppa: in testa, spavaldo, testa alta, codino al vento. Io, ultimo, mi chiudo in meditabonde, malinconiche riflessioni. 
Giunta ai tubi, l'ambasciata si dimezza: metà scappa urlando e ridendo. L'altra metà guarda in basso, o impavida tira gonne e trecce, chiede notizie sulle microfemmine in plastica e delucidazioni sul salvadanaio. Nell'aria i bagnischiuma neutrorobertsbaby si mischiano all'alito di pastina dei puffi.
Sto per sgattaiolare via, non visto, quando Leonardo mi prende per un braccio e mi trascina davanti alla bimba bionda, che se ne sta mano nella mano con quella che sembra sua sorella più grande. Siamo uno di fronte all'altra e ci guardiamo i piedi. Lei ha le dita non-storte e dei sandaletti de fonseca rosa schocking. Rapprende e rilascia ritmicamente le dita in una danza ipnotica. 
Ci lasciano soli, seduti su un muretto puntellato di erbette. Mentre si allontana con Leonardo, sento la sorellona dire "in effetti è carino, ma mi sembra un po' scemo".
Rimaniamo dei mezzi minuti fermi immobili a strappare le erbette, senza guardarci negli occhi.
è il momento di esordire con una battuta: "i tuoi piedi sembrano delle meduse mollicce".
Alzo lo sguardo e vedo le sue guance appena pelose di cortisone diventare rosse come delle albicocche.


Poi si gira e mi guarda anche lei. I suoi occhi sono una serratura al buio.



Quello che è successo dopo non me lo ricordo. 
So che io di sicuro non sapevo parlare di baci, né tanto meno darli. Non so cosa volessi da lei. Di sicuro neanche lei sapeva cosa volere da me. Siamo stati spinti verso quel rendez vous clandestino da forze esterne, incontrollabili e a noi totalmente estranee. non ricordo se ci dicemmo qualcosa, quanto rimanemmo sul muretto a strappare licheni e chiocce pur di non doverci confrontare davvero con quella diversità imposta, con quell'altro figurato da altri. Chissà se ha il mio stesso sfumatissimo ricordo, la bambina col cerchietto: un ricordo complementare al mio; la memoria del primo momento in cui qualcuno si è aspettato da noi che agissimo l'uno verso l'altro secondo le regole dettate dalla percezione sociale della nostra appartenenza sessuale. 

Quando Leonardo e sua sorella tornarono a prenderci, ci salutammo, e seppi che il giorno dopo la sua famiglia sarebbe tornata alla città. Forse Milano, non ricordo. "Ci vediamo l'anno prossimo, magari" disse la sorellona biondo cenere; e le vidi svanire nella bocca di un condominio poco distante. Annuii, incerto al riguardo, e tirai una calcio a un sassolino: un anno, per un bambino, è qualcosa che rotola ben oltre l'orizzonte dello sguardo.