lunedì 19 novembre 2012

Quella volta che ho sfidato un bielorusso nella lotta libera

Quella volta che ho sfidato un bielorusso nella lotta libera
ero completamente ubriaco.
Non mi ricordo come è cominciata
la faccenda,
né perché,
ma quando mi sono reso conto della cazzata
avevo già le mani intrappolate
in due tenaglie di acciaio bielorusso.
Ero più alto di lui di qualche dito,
aveva le spalle più larghe di me di qualche metro.
Era una specie di "T" maiuscola.
Un albatros
avrebbe avuto qualche difficoltà
ad abbracciarlo.
Non ho mai fatto la lotta libera
e non sono particolarmente forte nelle braccia,
ma ho una pancia piuttosto ostinata;
la Forza di Gravità era dalla mia:
la sentivo incitarmi da dietro la schiena,
come Afrodite con Paride
come un personal trainer con un'anziana:
"Dai ragazzo,
lasciati cadere su di lui,
crollagli addosso,
fai lavorare quei tortellini!".
Resistetti mezzo minuto,
forse uno,
non di più,
poi mi schienò.
Ma tanto mi bastò per fare la seconda cazzata della serata:
vantarmi delle mie prestazioni belliche.
Con ciò ottenni due risultati disastrosi:
una sfida al meglio dei tre,
e la sua gelida ira slava.
Mai provocare uno slavo piastrellista, 
ragazzi,
mai.
Dei due round che seguirono
ho ricordi confusi e frammentari:
le voci ovattate dei miei amici
che gridavano 
"L'Orso Biellese! L'Orso Biellese! L'Orso Biellese!",
i suoi occhi chiari nei quali
tentai invano
- tentai supplicando -
di cogliere un qualche accenno 
d'ironia,
le mie mani che rapidamente
si spappolavano
come pavesini nel the caldo,
le sue parole prima dell'ultimo round:
"Ti spiezzo in due".
Non scherzo,
erano riusciti a convincerlo a dirlo.
"Ti spiezzo in due".
Stavo combattendo
contro un cazzo di stereotipo sovietico.
L'ultima cosa che ricordo
è la Forza di Gravità
che getta la spugna
come Clint Eastwood 
in Million Dollar Baby
e correndomi incontro 
sussurra in lacrime:
"Il mio ragazzo,
il mio ragazzo
...".
Poi il vuoto.
Quando finalmente
riaprii gli occhi
vidi il lavandino del bagno
dell'amica da cui avevamo cenato
che era diventato uno stagno viola
su cui galleggiavano
immobili
pleisosauri di spaghetti.


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dilla