lunedì 13 maggio 2013

Je ne veux plus


Stanotte ho sognato che ero in Francia. E non lo so perché. Ero in Francia per un seminario, o un workshop, una conferenza. E non so di che. So che ero in macchina, e che parcheggiavo, e non so dove, e mi accorgevo che era presto - sì, per una santa volta presto - e avevo almeno dieci lunghissimi minuti per fare quel che cazzo mi pareva. E a me pareva proprio una buona idea di farmi un caffè. E allora entro in questo bistrot, dall'aria di pietra e affumicata; un locale all'antica, che direi di normandia. Ma io mai ci stetti in normandia, quindi non è affidabile come descrizione: diciamo che dovete figurarvelo come un pittoresco bistrot normanno (si dice così? O norreno? O normando? O norresco? O normo? ...Mandese?) immaginato da uno che in normandia non c'è mai stato.
E allora io ci entro e c'è quest'atmosfera di bel locale, un po' baita un po' molto francese, e questo lungo bancone a "L" e un corridoio stretto tra esso bancone e il muro bianco e grattuggioso. E dietro il bancone due signori piuttosto anziani, che mi guardano di sottecchi un po' preoccupati, un po' premurosi, molto orgogliosi del loro essere normandiani, e io penso: "porcaputtana adesso che ci penso mica che so parlare francese... ma che ci sono venuto a fare in Francia? un laboratorio, una lecture, un meeting... mah... adesso dico: un café, che tanto è internazionale". Vedo che c'è anche il figlio della coppia, un cinquantenne alto e massiccio, un po' ciccio; ma sta badando ad altri clienti dall'altra parte de bancone a "L", e allora pare brutto disturbare, anche se quello dava proprio l'impressione di uno che tre-quattro parole d'inglese le sa. E quindi mi allungo sul bancone di legno chiaro appena striato di marron nocciola e sorridendo nel modo meno falso possibile per uno che sta sorridendo di proposito ma che è mosso da effettivo sentimento di simpatia, dico al basso vecchio normancio: "Un café". Egli annuisce, si attiva tutto, sobbalza come una macchina arrugginita messa in funzione all'improvviso, bofonchia cose alla moglie con tono molto professionale, si volta e mette in moto la vecchia macchina arrugginita dell'espresso, che sobbalza tutta e vibra e bofonchia con tono molto professionale qualche goccia di bile alla tazzina. Mi guardo in giro e noto che il bancone è per la quasi totalità della sua estensione abitato da vasche di alluminio contenenti dolcetti e leccornie normanduse di ogni tipo, specie, forma, gusto e fantasia. Tante piccole leccornie zuccherine. Sto quasi sbavando. Le voglio. Due o tre da mangiare ora, le altre da portare a casa, che non si può andare in Normandia per un briefing, per un catering, per un consueling, e tornare senza neanche dei dolcetti tipici. Ti sparano se no. 
Però, puttanamerda, non so il francese. Cioè, lo so proprio male. E tipo che i due teneri rugosi vecchietti danno tanto l'impressione di parlare un qualche dialetto normese, e probabilmente il mio francese scolastico sgrammatico e dalla pronunzia pizzarola gli sembrerà il commovente tentativo di un gigantesco rospo alieno di farsi comprendere da degli abitanti terrestri. Allora comincio a riflettere nella mia testa sulla frase da dire. Devo pensarla bene, con gli accenti e i suoni. Prima pezzo a pezzo, poi unita in un solo abile e sciolto atto linguistico. Dai che ce la famo. "Allora... potere è peus, peut, peu... pë! si, l'ultima lettera tanto non la dicono mai sti francofoni, va bene pë. E poi?..." - Intanto l'anziana mi serve il caffè: la tazzina è essa stessa un delizioso pasticcino a forma di tazzina con fondo di marmellata di albicocche. Vado in brodo di giuggiole, per un attimo penso di abbandonare l'impresa, poi penso che no, vaffanculo, ne va del mio onore, e mi rimetto all'opera - "Dunque, dicevamo, pë. Poi. prendere è prendr... prendr... prendr cosa? Prima la quantità. Aucun. Eh? Come ti pare? Aucun per alcuni, ci sta. Non so se si dice spesso... chi è che ti chiede alcuni pasticcini? Un pazzo. Ma tant'è. poi, des ces... gourmandies! Si, gourmandì, con quell'accento strano a casetta da qualche parte sopra le lettere vuol dire leccornie, o qualcosa di simile. perfetto. Quindi, ricapitolando: pë prendr aucun des ces gurmandì?... mh...ma no, cazzo, il soggetto! Io... come si dice io in francese? oh, ma cazzo. Forse I? Pë i prendr?.. nah... oh merda". 

Mentre mi arrovello inutilmente, noto che dal soffitto pende una sorta di mensola su cui sono disposti tanti sacchettini di carta marron di diverse dimensioni con su scritto "gourmandies", e che ogni vasca ha delle forbicipinze rivolte verso i possibili acquirenti per pescare le delicatezze sfogliamentose in tutta tranquillità. è un fottuto self service. Si, però mo' che ho fatto sta fatica vorrei pure usarla sta frase, no? Almeno per dare l'impressione di essere un gentile rospo di Saturno.
Sono quasi per decidermi a parlare quando, dall'altra parte del bancone, sul lato breve della "L", un anzianissimo avventore dalle folte basette canute - una specie di Leo Ferré rinsecchito - sembra improvvisamente incantarsi e ripetere come un vecchio mangianastri ingolfato: "Je ne veux plus - Je ne veux plus - Je ne veux plus - Je ne veux plus - Je ne veux plus - Je ne veux plus - Je ne veux plus - Je ne veux plus - Je ne veux plus - Je ne veux plus - Je ne veux plus - Je ne veux plus - Je ne veux plus - Je ne veux plus...". Lo ripete così tante volte... e in concomitanza, con la mano destra, continua ad infilare una paletta sotto una fetta di crostata ai pistacchi, per poi levarla di scatto. 
E non avrebbe desistito dalla reiterazione senza soluzione di continuità di quel pattern di gesti, se il figlio della coppia di anziani proprietari non avesse fatto il giro del bancone e, con ammirevole delicatezza, non gli avesse sfilato la paletta di mano, tranquillizzandolo.
Non ne voleva altri, non ne voleva più, non ne voleva assolutamente più. E allora perché continuava a mimare di prenderne ancora? E ancora? Perché? Perché non ne aveva mai basta, di non volerne più?
Scosso dall'evento, pago rapidamente ed esco, sorridendo alla coppia di rugosi normici.
Appena fuori dal bistrot, mentre apro una macchina che non possiedo, penso: "Je. Io, in francese, si dice Je".



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dilla